sabato 24 novembre 2012

Pilota malato: spese militari diventino fondi per la sanità

Uranio impoverito, il pilota malato: “Le spese militari diventino fondi per la sanità”
22/11/2012 
http://www.leccesette.it/dettaglio.asp?id_dett=10163
Carlo Calcagni scrive alle Istituzioni, al Presidente della Repubblica e della Regione Puglia: “Muoio di burocrazia e indifferenza”


“Il mio corpo è diventato una discarica di metalli pesanti generati proprio dall’esplosione delle bombe con uranio impoverito che i ‘nostri’ alleati Americani hanno utilizzato per bombardare la ex Jugoslavia appena prima del nostro intervento nei Balcani come Forza Multinazionale di pace, sebbene la ‘mission’ internazionale del nostro Paese sia fondata sull'opzione non violenta e che dovrebbe rispettare l’articolo 11 della Costituzione: “Ripudiamo la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. 

È questo un passaggio, nemmeno forse il più significativo, della lettera che Carlo Calcagni, Colonnello del Ruolo d’Onore, pilota istruttore di elicottero dell’Esercito Italiano, ha deciso di scrivere alle Istituzioni italiane. 
Pluridecorato ‘servitore dello Stato’, si trova adesso a combattere con un nemico ben più subdolo dei tanti incontrati in battaglia: un linfoma. Diventato per molti il simbolo del diritto alla cura e al riconoscimento del danno dovuto alle missioni, oggi si rivolge alle Istituzioni non per chiedere aiuto per sé, ma per appellarsi affinché il denaro (tanto) destinato alle spese militari, sia utilizzato per migliorare la sanità pubblica. Lo spunto arriva proprio dalla storia della sua malattia, che lo costringe a dei lunghi soggiorni negli ospedali inglesi per cercare di sconfiggere – o quantomeno rallentare – il cancro che lo sta divorando.

“Dal 17 gennaio 2010 ad oggi” racconta Calcagni, “sono in cura presso il Centro di altissima specializzazione estero “Breakspear Hospital” in Inghilterra, dove ritorno ogni quattro mesi per un mese per effettuare le cure urgenti di altissima specializzazione, richieste dalla particolarità del caso, per le patologie riconosciute dipendenti da causa di servizio che non possono essere trattate presso idonea struttura sanitaria in Italia, trattandosi di prestazioni che non possono essere assicurate dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale, come certificato dall’ASL di Brindisi.
Il mio accorato, forse ultimo appello, è quello di rendere Legge l’assistenza ai malati in situazione di gravità delle patologie legate alle guerre condotte in nome della Patria prendendo spunto dalle terapie che mi tengono in vita in modo sorprendente da anni nonostante mi avessero diagnosticato pochi mesi di vita”.

Un grido, un appello, dignitoso come pochi altri, che ha ricevuto una prima risposta, quella del Presidente della Regione Puglia Niki Vendola, che gli scrive:
“Caro Carlo, mi hanno detto che sei un ciclista d'altri tempi. Ma voglio contribuire a correre un pezzo di corsa con te, per vincere. Mi chiedi di mantenere le promesse, di ridurre drasticamente le spese militari e di ripudiare la guerra. Lo farò perché la pace, la non violenza, la cooperazione tra i popoli sono per me bussole non barattabili. Intendo la politica come inchiesta sulle cose della vita, come indignazione civile, come prefigurazione di un mondo liberato: farò la mia parte perché si arrivi alla verità sulle morti e sulle malattie causate dall'uranio killer, mi impegnerò, come ho già fatto, per sottrarre dall'omertà e dall'oblio un Paese che dimentica in fretta e preferisce non sapere".

In allegato la lettera di Carlo Calcagni.

martedì 20 novembre 2012

Uranio: Accame, via il segreto dalle indagini


Torre Veneri: Accame, via il segreto dalle indagini. I dati riguardano la salute pubblica

La questione del Poligono di Torre Veneri riguarda i seguenti aspetti:

1) la segretezza degli atti dopo i sopralluoghi del Cap. Minervini in seguito a quanto disposto dalla Commissione d’Inchiesta, non può essere mantenuta in quanto riguarda fatti concernenti la salute pubblica.

2) L’utilizzo del poligono da parte di forze straniere. Difficile sapere quali armi abbiano impiegato perché, per chi utilizza poligoni di impiego internazionale è sufficiente presentare una “autocertificazione”. E inoltre la bonifica (quantomeno lo sgombero bossoli) è affidata spesso agli stessi utenti e quindi sfugge ad ogni controllo.

3) Tra l’altro, come sopra accennato, finora le bonifiche sono state effettuate solo in superficie (in pratica, come si è detto, l’operazione “sgombero-bossoli”). E invece avrebbero dovuto essere state effettuate operazioni di scavo in profondità per eliminare i proiettili conficcatisi nel terreno.

4) Non sono stati emanati “bandi internazionali” volti a determinare una precisa proibizione dell’impiego di armi non convenzionali. Ciò avrebbe comportato delle gravi responsabilità in caso di trasgressione da parte degli utilizzatori, mentre tali responsabilità sono state in pratica cancellate.

5) In passato lo strumento di rilevazione da utilizzare per verificare la presenza di radiazioni è stato l’intensimetro RA/141/B che purtroppo esplora una striscia estremamente limitata (circa 10 cm di ampiezza). E ciò praticamente non consentente l’attendibilità di rilevazioni che si riferiscono a un’ampia area, come quella messa a rischio nei poligoni. Si può ricordare in merito che in Bosnia sfuggì alle operazioni NBC condotte con il suddetto rilevatore la presenza di 10.800 proiettili all’uranio impoverito.

Difficile dunque stabilire, per quanto riguarda il poligono di Torre Veneri e l’eventuale presenza di armi all’U.I., (come del resto in altri poligoni). Occorre comunque, in primo luogo, richiedere che la bonifica sia effettuata in profondità e non solo in superficie perché i proiettili non si trovano solo in superficie). Quanto agli strumenti di rilevazione ora disponibili e maggiormente efficaci (Usa e Israeliani) questi potrebbero fornire qualche possibilità in più. Tuttavia in aree così estese, come quelle da esaminare, l’operazione risulta alquanto aleatoria.

Falco Accame

martedì 6 novembre 2012

Militari vittime di uranio


Militari vittime di uranio e vaccini. “Patologie sorte perché in servizio”

2 novembre 2012

In 3.761 dal ’91 sono stati contaminati. Il generale Debertolis chiede il “riconoscimento di infermità dipendente da causa di servizio”. Caforio (Idv): “Bisogna dare una risposta alle famiglie. Per la corresponsione delle provvidenze si inseriscano anche i casi di effetti avversi”
di:  Adele Lapertosa

Andrea Antonaci aveva solo 26 anni quando è morto il 12 dicembre 2000 a causa di un tumore: il linfoma non Hodgkin. Adesso il Tribunale civile di Roma ha stabilito, con una sentenza di qualche giorno fa, che a uccidere questo giovane militare è stato l’uranio impoverito. Motivo per cui il ministero della Difesa è stato condannato a pagare quasi un milione di euro ai suoi familiari: ci sarebbe infatti un nesso causale tra la patologia contratta e l’esposizione all’uranio impoverito durante il servizio prestato in Bosnia. Si tratta della dodicesima sentenza di condanna in primo grado portata avanti dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia dell’Osservatorio Militare–Osservatorio permanente e centro studi per il personale della Forze Armate e di Polizia.

Antonaci per anni ha lottato contro un tumore nelle cui cellule sono state rilevate nanoparticelle di metalli pesanti. Poco prima di morire aveva chiesto alla famiglia che la verità sulla sua morte venisse alla luce. Ora la sua famiglia ha avuto un primo riconoscimento della sua battaglia. Battaglia che però non ha ancora certezze acquisite.

Le tesi sulle possibili cause che hanno fatto ammalare, e morire, i tanti militari italiani in questi anni (3.761 casi di contaminazione dal ’91 per uranio impoverito e altri agenti patogeni accertati tra il personale militare in servizio, secondo l’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle Forze Armate) sono varie e nessuna conclusiva, secondo la scienza: si va dall’uranio impoverito alle vaccinazioni multiple, fatte non seguendo il protocollo vaccinale della Difesa, alle nanoparticelle.
Non tutti i militari ammalati infatti sono stati in missione all’estero, nei poligoni di tiro o hanno maneggiato l’uranio impoverito. Il dato di fatto però è che, in tutta questa incertezza, molti di questi ragazzi e delle loro famiglie attendono da anni, o si vedono rifiutare, il riconoscimento della causa di servizio come elemento scatenante della patologia che li ha colpiti.
E’ il caso ad esempio di David Gomiero, che avrebbe sviluppato la sua patologia, dismetabolismo dei carboidrati e del sistema immunitario, subito dopo essere stato vaccinato all’arruolamento. Tuttavia il Comitato di verifica per le cause di servizio ha rifiutato per ben due volte la sua domanda, non riconoscendo il nesso causale. E questo perché casi come il suo non sono contemplati dalla legge militare. Come ha spiegato il generale Claudio Debertolis, segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, in una sua recente audizione alla commissione d’inchiesta del Senato sull’uranio impoverito, bisognerebbe modificare l’articolo 603 del codice dell’ordinamento militare, “in modo da fargli ricomprendere, ai fini del riconoscimento di infermità dipendente da causa di servizio, anche i danni iatrogeni, conseguenti cioè ad una terapia medica, ivi comprese le reazioni avverse a vaccinazioni”.
La norma in questione infatti riconosce causa di servizio e indennizzi solo a chi ha contratto infermità o patologie tumorali connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico. Quindi sono escluse altre cause. A questa modifica, secondo De Bertolis, ne andrebbe aggiunta un’altra sulla normativa secondaria di attuazione, basata sulla “concomitanza temporale” tra l’insorgere della malattia e la sottoposizione alla terapia medica. “Serve un intervento legislativo – ha detto il generale – che introduca il criterio di presunzione iuris tantum (cioé salvo la prova contraria), in alternativa a quello della presunzione legale iuris et de iure (che non la ammette), consentendo la qualificazione di infermità dipendente da causa di servizio, pur in assenza di un nesso causale scientificamente dimostrabile, ma riferendosi alle particolari condizioni in cui i fatti si sono svolti”.
E proprio in tal senso si sta muovendo il senatore Giuseppe Caforio (Idv), membro della commissione Uranio.
“Dobbiamo dare delle risposte a questi ragazzi e alle loro famiglie – spiega – Non si può continuare a far finta di niente dicendo che il problema non esiste. Per questo ho deciso di presentare un emendamento al ddl di delega al Governo per la revisione dello strumento militare, in cui tra i criteri per la corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere si inseriscono anche i casi di effetti avversi, ipotizzati come dipendenti dalle vaccinazioni somministrate al personale militare. Speriamo che non venga bocciato”.

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