mercoledì 19 febbraio 2014

La Massoneria IRRADIA Taranto, da vent'anni

La minaccia radioattiva alle porte di Taranto

Migliaia di fusti contenenti scorie che emanano radiazioni sono abbandonati da vent'anni in un deposito a 20 km da Taranto. Ecco le immagini inedite dell'interno del capannone



Da vent’anni è in stato di abbandono, con 1140 metri cubi di rifiuti radioattivi stoccati all’interno. L’ex Cemerad di Statte è una minaccia ambientale a soli 20 km da Taranto, con migliaia di fusti ammassati in torri alte fino a venti metri in un semplice capannone di lamiera. Vi mostriamo per la prima volta le immagini dell’interno del deposito, girate dagli investigatori del Corpo Forestale nel 1995, durante una perquisizione richiesta del procuratore di Matera, Nicola Maria Pace.
Da allora la situazione «non è migliorata» e i fusti hanno subito un «deterioramento inevitabile», secondo l’ex direttore del dipartimento nucleare dell’Ispra, Roberto Mezzanotte. Dopo una lunga vicenda giudiziaria il deposito della Cemerad è stato sequestrato e la ditta è fallita. A pagare la bonifica dovrà essere anche in questo caso la collettività, ma per ora sono stanziati solo i fondi per caratterizzare i rifiuti. Nessuno infatti ha ancora mai aperto i fusti per verificare cosa realmente contengano. Su alcuni dei fusti ritrovati nel deposito è riportata una data di decadenza della radioattività a 10mila anni, ricordano gli ufficiali della forestale che eseguirono la perquisizione.
Il proprietario della Cemerad, Giovanni Pluchino, era un personaggio chiave. Presidente dell’ordine dei chimici di Taranto, massone appartenente alla loggia Pitagora, aveva stabilito stretti rapporti societari con Enea e Nucleco, le società a capitale pubblico che si occupano della gestione del nucleare italiano. Nell’informativa preparata alla fine degli anni ‘90 dal Corpo forestale dello Stato erano indicati i rapporti commerciali della Cemerad: tra le tante società c’era la Setri di Cipriano Chianese, la mente dei traffici di rifiuti dei casalesi, legato - raccontano le indagini della Dda di Napoli - all’ambiente di Licio Gelli.

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