lunedì 2 dicembre 2024

ISRAELE NUCLEARE: ANATOMIA DI UN GIOCO DELLE TRE CARTE

ISRAELE NUCLEARE: ANATOMIA DI UN GIOCO DELLE TRE CARTE

dott. Tomaso Vialardi di Sandigliano (Presidente della Federazione di Biella e Vercelli) 

IL NASTRO AZZURRO - ANNO LXXXIII - N. 3 - MAG. GIU. 2024

FONTE


La pietra tombale di Angleton 

"Arabs may have the oil, but we have the matches" 

- Ariel Sharon -

     James Jesus Angleton, apicale e controverso ghost spymaster dell’“American intelligence deep state” del secolo scorso, mori l’11 maggio 1987. A dicembre, alla fine di una stradina su una collina affacciata sulla Città Vecchia di Gerusalemme, il Gotha passato e presente della CIA, del Mossad e dello Shin Bet, una sessantina di persone tra cui una vedova in nero (Cicely d'Autremont Angleton), era raccolta davanti a una roccia alta poco più di un metro con (un epitaffio - ndr) inciso in tre lingue: inglese, ebraico, arabo (vds. foto sopra). Gli sponsors dell’«Angleton Corner» erano stati «some of the architects of the Zionist state», tutti legati agli inizi della intelligence israeliana: Teddy Kollek, Sindaco di Gerusalemme, amico di Angleton dai tempi in Italia e uomo chiave dell’alleanza CIA-Mossad, brasseur di armi per Israele tra Centro-America e Stati Uniti, sindacati e mafia ebraica (Meyer Lansky); Yizhak Rabin, Ministro della Difesa e già Rav Aluf (CSME) delle Forze di Difesa Israeliane (IDF); Amos Manor, Direttore dello Shin Bet e controparte di intelligence di Angleton. La complessa storia delle relazioni Angleton-Israele è in buona parte da decifrare, i documenti resi pubblici, parziali e “sanitized”, sono solo spezzoni di quel grande puzzle “Tel Aviv” che la intelligence community occidentale rifiuta di desegretare. Ad esempio, il volume edito dall’Ufficio Storico della CIA nel 1993, Richard Helms as Director of Central Intelligence 1966–1973, è stato desecretato solo nel 2006 con l’eccezione della sezione su Israele, in particolare quella riguardante Angleton-Shin Bet-Mossad. Altro esempio, nel 2023 è stata completata la desecretazione degli atti del Church Committee (1975- 76), la più importante indagine mai intrapresa dal Congresso sugli abusi della intelligence statunitense, che costrinse Angleton alle dimissioni sia dal Counterintelligence della CIA che dirigeva dal 1954, sia dallo “Israel desk” di cui dal 1951 era «exclusive liaison in charge» (1). Al transcript di 111 pagine della testimonianza a porte chiuse di Angleton del giugno 1975 mancano 39 pagine, ancora una volta quelle riguardanti i suoi rapporti con la intelligence israeliana. Il perché lo spiega il Pentagono, senza dare dettagli, in una secca lettera del 29 settembre 2022 al White House National Security Council: i dettagli della testimonianza di Angleton potranno essere resi pubblici solo quando le «US-Israel intelligence partnerships are formally dissolved» (2). La ragione è semplice, la parte mancante copre un argomento che per Washington è esplosivo: il programma nucleare di Tel Aviv. Inizialmente Angleton fu particolarmente diffidente verso Israele, Stato nato alla vigilia della fine del mandato britannico sulla Palestina, mezzanotte del 14 maggio 1948, con una dichiarazione unilaterale del Capo della World Zionist Organization Ben Gurion. Non casuale, perché la stessa mattina il Rappresentante sovietico alle Nazioni Unite Gromyko, in un intervento che aveva sconvolto l’Assemblea, aveva dichiarato: «Sarebbe ingiusto non tenerne conto e negare il diritto del popolo ebraico … a fondare un proprio Stato. Sarebbe ingiustificabile negare questo diritto al popolo ebraico». Truman riconobbe Israele “de facto” lo stesso giorno (3), Stalin “de jure” due giorni dopo. La decisione di Truman era stata presa senza consultare OSS, Stati Maggiori e Dipartimento di Stato, convinti da Angleton, non a torto, che alle spalle dello «Zionist miracle» ci fosse l’Unione Sovietica. Lo aveva dimostrato il discorso di Gromyko e lo dimostrò il supporto dell’Unione Sovietica fino alla fine del 1949, che da subito fornì armi a Israele attraverso la Cecoslovacchia, tanto che ancora oggi molti israeliani considerano Stalin «among the founding fathers of Israel» (Johnson 1998). Ci furono le parole di Golda Meir, prima Ambasciatrice in URSS nel settembre 1948: «non so se avremmo potuto resistere senza le loro armi»; poi quelle di Abba Eban, primo Permanent Representative alle Nazioni Unite: «senza le armi fornite dal Blocco Sovietico […] non avremmo potuto farcela, né diplomaticamente né militarmente» (Kramer 2017). Rabin stesso era nel partito filo-sovietico Ahdut ha-Avodah, poi confluito nel Mapam d'ideologia marxista. Ancora, sotto il protettorato britannico le migrazioni verso la Palestina erano state in maggioranza di ebrei russi e di paesi di influenza sovietica, per Angleton la certezza che ci fossero in mezzo elementi del KGB come in Italia, dove lo X-2 aveva scoperto infiltrazioni del KGB all’interno di Forze Resistenti coperte dal PCI di Togliatti. Nel 1950 Ben Gurion si rese conto che il suo Governo, troppo a sinistra, stava compromettendo le già difficili relazioni con gli Stati Uniti, da cui proveniva la maggior parte dei fondi che, attraverso il Sonneborn Institute, pagavano il contrabbando di armi, comprese quelle “regalate” dalla Francia dal Governo Bidault (Altalena Affair, 1948). L’occasione del cambio politico fu la Guerra di Corea, quando Ben Gurion riuscì a fare approvare la Risoluzione 82 (1950) del Security Council delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord, cui seguì due giorni dopo la 83 che permetteva a Truman di intervenire in Corea del Sud. In uno show off destinato all’Ambasciatore statunitense Grover McDonald, Ben Gurion, certo della bocciatura, propose al Knesset (Parlamento) di mandare in appoggio alla Corea unità militari israeliane, respinta unanimamente dalla Sinistra per non «damage Israel’s relations with the Eastern Bloc» (Sheffer 1996). Il 2 maggio 1951 Ben Gurion decise una visita privata negli Stati Uniti preparata da Kollek, che gestiva da New York fin dal 1947 il contrabbando di armi verso Israele con Eliyahu Saharov, che aveva coordinato la fornitura di armi sovietiche dalla Cecoslovacchia. Ben Gurion incontrò «unofficially» Truman, il Segretario alla Difesa Marshall e il Segretario di Stato Acheson. Soprattutto, tramite Kollek, incontrò il Direttore della CIA Bedell Smith, cui offrì l'accesso a tutte le informazioni raccolte tra gli immigrati russi con le trascrizioni complete dei loro interrogatori. Fu questo network clandestino che correva dall'Europa Orientale attraverso l'Italia fino ai porti della Palestina, a convincere Bedell Smith a creare lo “Israel desk”, alla cui testa mise Angleton. Le pressioni espansionistiche di Israele, volte ad allargare i territori concessi dalla Risoluzione 181 dell’ONU (1947), sfociarono nella prima guerra arabo-israeliana, dove una coalizione Egitto-Iraq-Transgiordania-Libano-Siria affiancò la Palestina nella difesa del proprio territorio. Con l’inaspettata vittoria israeliana (luglio 1949), Tel Aviv venne a controllare il 72% del territorio della Palestina contro il 56% previsto dall’ONU, costringendo all’esodo oltre 700.000 Palestinesi, facendo cadere definitivamente il progetto ONU di due Stati. Circondata da una ostilità crescente, Israele incominciò a ipotizzare un progetto di difesa nucleare. Nel 1948, in piena guerra, Ben Gurion, con l’appoggio di Shimon Peres e Moshe Dayan, aveva iniziato rilevamenti geologici nel deserto del Negev alla ricerca di uranio, ufficialmente una ricerca di idrocarburi. All’interno dell’IDF fu creato un Corpo Specialistico (Hemed Gimmel), poi passato sotto il Ministero della Difesa. Nel 1952 Peres istituì il Nuclear Research and Development Centre presso il Weizmann Institute, che inviò i suoi studenti nelle più prestigiose università occidentali legate alle ricerche sul nucleare (4). Il progetto necessitava di molti fondi e per mantenerne la segretezza i flussi di denaro dovevano essere non tracciabili anche nei bilanci dello Stato. Fu creato un rendiconto parallelo alimentato ancora una volta attraverso il Sonneborn Institute, dove confluirono decine di milioni di dollari donati dalla “Kosher Mafia” statunitense e dalla diaspora ebraica internazionale guidata da Lord Rothschild. Nel dicembre 1953 il Presidente Eisenhower pronunciò alle Nazioni Unite il discorso “Atoms for Peace”, illusoria alba di un passaggio dal nucleare militare a quello civile. Israele immediatamente firmò un trattato di cooperazione con gli Stati Uniti (12 luglio 1955), che permise al suo scienziato di punta David Bergmann di partecipare alla Conferenza di Ginevra (8-20 agosto 1955). Israele ottenne un piccolo reattore da 10 MW, di fatto un desalinizzatore posto sotto controllo internazionale. Bergmann chiese un upgrade del trattato per acquisire un reattore in grado di produrre uranio, ottenendo il rifiuto della US Atomic Energy Commission. L’interesse geopolitico francese sul Medio Oriente a bilanciamento degli interessi britannici, aveva avvicinato Parigi all’appena nato Stato israeliano diventandone, con l’Unione Sovietica, uno dei primi fornitori di armi nella guerra del 1948. Le operazioni erano state seguite da Peres, che aveva allargato i rapporti anche al settore nucleare con scambi di scienziati tra il Weizmann Institute, l’Institut National des Sciences et Techniques Nucléaire e il Centre d’Études Nucléaires (fort de Châtillon). Se la ricerca nucleare francese prima della seconda guerra mondiale era particolarmente avanzata, alla fine della guerra il suo livello era declinato, ma aveva mantenuto quasi intatta la capacità ingegneristica. Quando nel 1955 Parigi decise la costruzione del primo reattore a Marcoule (Gard) per la produzione di plutonio, gli unici scienziati stranieri ammessi furono quelli israeliani. Il Mossad si sdebitò fornendo alla Francia, nel difficile processo di decolonizzazione, informazioni sull’appoggio di Nasser all’indipendenza algerina: Parigi temeva che l’Egitto inviasse ad Algeri gli Ufficiali nazisti che stavano addestrando le truppe del Cairo, arrivati nel 1952 con Otto Skorzeny, incaricato di reclutare per il programma missilistico egiziano anche scienziati che avevano lavorato a Peenemünde nello sviluppo dei missili V1 e V2. Il Mossad rispose con la controversa Operazione Damocles (1962), l’omicidio degli scienziati che lavoravano al progetto egiziano in cui fu cooptato lo stesso Skorzeny con la promessa, non mantenuta, della cancellazione del suo nome dalle liste dei ricercati da Wiesenthal. Capo del team fu Yitzhak Shamir, già Capo di un Gruppo armato terrorista di matrice sionista, la “Stern Gang”. Ufficialmente, il concetto di difesa nucleare entrò nella discussione militare alla conclusione della crisi di Suez (1956), quando la Russia minacciò un attacco nucleare su Londra e Parigi per distrarre l'attenzione dai fatti Ungheresi. Temendo un coinvolgimento sovietico maggiore con il rischio di una escalation globale, gli Stati Uniti condannarono l’azione militare anglo-franco-israeliana, appoggiando l’Unione Sovietica per chiudere una crisi che aveva dato la prima dimostrazione dell’incapacità della NATO al di fuori del teatro europeo. Conseguenza della guerra fu la cacciata di decine di migliaia di ebrei dall’Egitto, che si stabilirono nei nuovi insediamenti voluti da Ben Gurion agli inizi degli anni ’50, tra cui Dimona nel deserto del Negev. 


Il sito di Dimona nel tempo

   Incerte sull’atteggiamento futuro di Washington, Israele e Francia decisero lo sviluppo congiunto di un deterrente nucleare. Il Ministro degli Esteri israeliano Golda Meir e Shimon Peres incontrarono segretamente i Ministri degli Esteri e della Difesa francesi per le bozze dell’accordo, firmato dal Primo Ministro BourgèsMaunoury il 3 ottobre 1957, ma retrodatato al 30 settembre per la caduta del suo Governo (Bar-Zohar 2007). Il testo dell’accordo è ancora segretato, ma è certo che Tel Aviv ottenne un reattore simile a quello di Marcoule e tutti gli impianti per il riprocessamento del plutonio. Per dare ai due Governi una plausible deniability, Israele usò delle front companies sotto il patrocinio del programma Atoms for Peace, che le permise di accedere a 6.500 rapporti di ricerca nucleare della US Atomic Energy Commission, mentre Parigi fornì l’impianto di riprocessamento attraverso la Saint Gobain. Altro vantaggio dell’alleanza, fu la possibilità per Israele di partecipare al test nucleare francese nel Sahara algerino del 1960. 

   Ben Gurion decise che il Centro sotterraneo per il reattore e l’impianto di trattamento del plutonio ottenuto dall’uranio, sarebbe stato costruito vicino a Dimona, ufficialmente sede del Negev Nuclear Research Center. I lavori, censurati all’opinione pubblica e al Knesset, incominciarono nel 1958 con gli stessi tecnici francesi di Marcoule. Ne furono al corrente Peres, Dayan e a grandi linee pochi Membri del Gabinetto di Guerra. Per coordinare ricerche e forniture di materiale nucleare, Peres creò nel 1957 una sezione di intelligence specialistica (Lekem), a Capo della quale mise Benjamin Blumberg, già a Capo della Sicurezza Interna dell’IDF. Dimona divenne no-fly zone, tanto che nella Guerra dei Sei Giorni (1967), un Mirage III (5) del 117° Squadrone IDF che aveva perso il controllo fu abbattuto dalla propria contraerea. Il 21 febbraio 1973 degli F-4 Phantom II israeliani abbatterono un Boeing 727–224 della Libyan Airlines, andato fuori rotta per un errore di navigazione, uccidendo 108 dei 113 passeggeri. 

    Il reattore entrò in funzione nel 1962, gli impianti sotterranei di stoccaggio del plutonio nel 1964 e fu “fully operational” nel 1966, con qualche problema con la salita alla Presidenza di de Gaulle (1º giugno 1958), che aveva bloccato l’accordo con Israele, permettendo solo il completamento dei contratti attraverso Società non riferibili allo Stato. Per produrre la quantità di combustibile esaurito da cui estrarre il plutonio, Israele aveva bisogno di una fornitura costante di combustibile a base di uranio. La produzione interna a partire dai fosfati del Negev era troppo costosa e comunque insufficiente per le esigenze di Dimona. Altro problema, solo le Nazioni che avevano consentito ispezioni dei propri reattori da parte della IAEA potevano acquistare legalmente l’uranio e Israele aveva reso praticamente impossibili le ispezioni. Fu compito di Blumberg trovare acqua pesante e uranio attraverso front companies, clandestine operations non sempre perfette, incidenti diplomatici, qualche morto e poco definibili giri di droga sudamericana. L’acqua pesante arrivò dalla Norvegia in una triangolazione con la Gran Bretagna, perfettamente conscia dell’utilizzo («to facilitate plutonium production»), mentre l’ossido di uranio (yellowcake) fu comperato in Gabon con la silente approvazione francese, in Argentina, in Sud Africa, in Congo e in Portogallo. 

    Vista l’opposizione interna crescente, Primo Ministro e Ministro della Difesa era diventato Levi Eshkol fiero oppositore del nucleare, i finanziamenti passarono per i canali già sperimentati: i “filantropi” statunitensi, questa volta attraverso una banca appena fondata a Ginevra dal “multi-faced” Tibor Rosenbaum con il finanziere d’assalto Bernie Cornfeld (6) (Banque de Crédit International, 1959), una «Kosher Connection» fallita nel 1975 da cui passarono gli acquisti di armi del Ministero della Difesa israeliano, finanziamenti a covert actions del Mossad, riciclaggio dell’«underworld financial leader» Meyer Lansky e gli affari della Israel Corporation dei Rothschild Europa. 

   I legami mai recisi con quell’«underworld» che incrociò armi, nucleare, Mossad e grandi mafie, hanno inciso profondamente la società israeliana facendo di Tel Aviv una convergenza tra la “Kosher Mafia” e una “Russian Mafiya” gestita nella quasi totalità da elementi di origine ebraica, che ha coinvolto pesantemente il suo establishment politico, Premiers e Ministri (7), toccando anche il Vice-Presidente di Clinton Al Gore in ottimi rapporti con la nomenklatura, tra cui Viktor Chernomyrdin di cui bloccò una indagine della CIA (1995). Nel settembre 1972, Olimpiadi di Monaco di Baviera, un commando di Settembre Nero uccise 11 atleti israeliani. Immediatamente il Governo di Golda Meir approvò l’“Operazione Ira di Dio” sotto la direzione di Saharov, destinata a eliminare i soggetti direttamente o indirettamente responsabili del massacro, i cui risultati non brillanti sono ancora segretati. Una soffiata mal verificata localizzò l’ideatore del massacro a Lillehammer in Norvegia. La sera del 21 luglio 1973 una «death squad» del Mossad al comando di un Mossad-man dalle molte facce e traffici, Mike Harari, uccise un cameriere marocchino, emigrato in Norvegia anni prima, che nulla aveva a che fare con Monaco e Settembre Nero. Parte del commando fu catturata e uno degli interrogati (Dan Ert/Arbel) ammise immediatamente di essere del Mossad e a riprova raccontò una storia singolare. Il 29 marzo 1968 la Asmara Chemie, una società tedesca in affari con il Mossad dal 1964, comperò dalla Union Minière belga in Alto Katanga (Congo) 200 tonnellate di yellowcake pagate US$ 3.700.000. Il 20 agosto il Mossad fondò a Monrovia (Liberia) la Biscayne Trader's Shipping Corporation con Presidente Ert/Arbel, che il 27 settembre comperò per US$ 287.000 il mercantile oceanico Scheersberg A, su cui fu imbarilato lo yellowcake, 560 barili marcati “plumbat”, un derivato del piombo, che attraccò ad Anversa il 16 novembre. La Asmara Chemie aveva già ottenuto l’autorizzazione da EURATOM di spedire il materiale a una fabbrica di vernici di Milano, la SAICA (Francesco Sertorio), per cui lo Scheersberg A poté salpare già il 17 novembre per Genova dove non arrivò mai, per attraccare invece il 2 dicembre al porto turco di Iskenderun senza carico, trasbordato probabilmente al largo di Creta su un mercantile e sbarcato ad Ashdod. Un paio di mesi dopo EURATOM scoprì che il carico non era mai arrivato a destinazione e aprì una indagine (Plumbat Affair, sullo sfondo l’ombra di Saharov) che non portò a niente, perché nel frattempo la Scheersberg A aveva cambiato due volte di proprietà, ribattezzato Kerkyra battente bandiera greca. La Germania iniziò a sua volta una indagine interrotta bruscamente subito, alimentando il sospetto di un accordo sotterraneo tra Israele e il Cancelliere Kiesinger. Tacque l’intelligence delle Nazioni interessate e quella statunitense minimizzò il rapporto EURATOM. L’Affair divenne pubblico nel 1977 riempendo di inchieste i giornali, sempre silente l’intelligence community a dimostrazione della potenza dello “Israel desk” di Angleton. In Italia ci fu un’Interrogazione Parlamentare cui stranamente non fu convocato a rispondere né il Ministro della Difesa Ruffini, né il Direttore del SID Henke, ma l’ignaro Sottosegretario agli Esteri Foschi (8). 

   Nel 1976 sui giornali statunitensi incominciò ad apparire un nome: NUMEC (Nuclear Materials and Equipment Corporation), una società costituita in Pennsylvania il 31 dicembre 1956. Due dei tre “leading Zionists” fondatori avrebbero dovuto attirare l’attenzione del FBI: Zalman Shapiro, un chimico nel team di progettazione del primo sottomarino a propulsione nucleare (Nautilus), e Leonard Pepkowtiz, un fisico del progetto atomico Manhattan. 

   Passò anche inosservato un altro “leading Zionist”, entrato nel capitale l’anno dopo: David Lowenthal, viaggi mensili a Israele, amico personale di Ben Gurion ma soprattutto di Meir Amit, contemporaneamente a Capo della intelligence militare israeliana (Amon) e del Mossad. La società aveva come scopo la trasformazione di uranio, sia quello altamente arricchito (HEU) che quello «weapons-grade quality», in carburante nucleare per reattori. NUMEC fu operativa dal 1959, ricevendo immediatamente contratti dalla Difesa: comperava uranio dagli impianti governativi di Oak Ridge e Portsmouth per trasformarlo in combustibile per i reattori navali: sottomarini e portaerei. In un controllo di routine dell’aprile 1965, l’Atomic Energy Commission (AEC) scoprì una discrepanza tra lo HEU fornito e quello lavorato: mancavano 178 kg, saliti a 269 nei controlli dei tre anni successivi. Le indagini del FBI non diedero risultati, non ci furono accuse, la CIA non collaborò. Il 6 settembre 1968 la AEC avvertì il FBI di avere autorizzato quattro "thermoelectric generator specialists” a visitare NUMEC: Avraham Hermoni, Ephraim Biegun, Abraham Bendor e Rafi Eitan (9), nomi forse poco noti al FBI, ma ben noti all’“Israel desk” che aveva di fatto autorizzato la visita. Nel 1977 il Subcommittee on Energy della House of Representatives chiese al Government Accountability Office (GAO) di riaprire l’indagine del 1965 per stabilire se effettivamente del «weapons grade uranium» fosse stato illegalmente esportato dagli Stati Uniti verso Israele, ma ancora una volta «the CIA denied GAO access to any source», fatto che non permise al Committee di arrivare ad una conclusione, salvo registrare che FBI e CIA avevano oscurato il ruolo di Lowenthal in NUMEC. Tra il 1965 e i primi anni ’80 ci furono una decina di indagini, cambiarono quattro Presidenti (Johnson, Nixon, Ford, Carter), ma le conclusioni furono le stesse: senza una «hard evidence of a diversion» la questione non poteva essere confermata. I molti documenti rilasciati negli ultimi anni da CIA e FBI, anche se “sanitized”, confermano che l’«uranium had been diverted to Israel», dalle dichiarazioni del Direttore CIA Carl Duckett a quelle di John Hadden dell’“’Israel desk”, Chief Station a Tel Aviv dal 1963 al 1969, che aveva scoperto nel deserto del Negev tracce di HEU con “signatures” di Portsmouth. Nonostante la maggioranza dei documenti sia ancora segretata, da un incrocio delle fonti emerge anche come Israele, piccolo Stato in una posizione politico-geografica difficile, sia riuscita a testare il proprio nucleare. Nel giugno 1975 Peres e il Ministro della Difesa sudafricano Bota firmarono un accordo “yellowcake-for-arms” (codename CHALET): Israele avrebbe testato in Sudafrica, e poi fornito, il Jericho I, un missile balistico short-range con capacità nucleare. L’accordo prevedeva probabilmente anche un test nucleare congiunto, perché nel settembre 1979 il satellite Vela 6911 del US Atomic Energy Detection System detectò tra l’isola di Ascensione e il Sudafrica un “double flash”, caratteristico di un test nucleare a basso potenziale. Tutte le Commissioni istituite ad hoc nel 1980 (CIA, DIA, NSC, laboratori spaziali di Los Alamos e Sandia) confermarono un «nuclear event», salvo negarlo nel report finale del 1982. 

    Nell’aprile 1977 Peres e Reza Pahlavi firmarono un contratto simile a quello sudafricano, “oil-for-arms” (codename FLOWER): Israele avrebbe testato in Iran, e poi fornito, il Jericho I nella versione long-range in avanzata progettazione. Il 1985 fu un anno difficile per i rapporti Stati Uniti-Israele. A maggio il FBI scoprì che una società californiana (Milco International) aveva esportato illegalmente, tra 1982 e 1985, 810 krytrons, un tubo a gas a catodo freddo progettato come interruttore ad altissima velocità sottoposto allo Arms Export Control Act perché “dual-use”: commerciale (fotocopiatrici ad alta velocità) e militare (innesco di armi nucleari). Destinataria una front company del Ministero della Difesa di Tel Aviv (Heli Trading Ltd, dove era «employee» Benjamin Netanyahu). L’inchiesta fu tenuta sottotraccia, Israele si scusò assicurando che i krytrons erano destinati alla ricerca medica e ne restituì 469, gli altri erano andati distrutti durante dei test. La “Zionist lobby” statunitense fece pressioni, l’Amministrazione accettò la spiegazione e tacque quando qualche krytrons apparve in Sudafrica. A novembre il FBI arrestò un analista del Navy Field Operational Intelligence Office, Jonathan Pollard, accusato di avere venduto a Tel Aviv informazioni sensibili sulle capacità militari arabe ma anche sovietiche. Fatto particolarmente grave, perché violava gli accordi tra Bedell Smith e Ben Gurion del 1951 che avevano messo fine allo «Zionist underground» che contrabbandava armi per Israele, con l’impegno che nessuna azione di spionaggio sarebbe mai stata intrapresa da Israele sul suolo statunitense. Su questo impegno era nato il “Israel desk”. Peres si scusò, l’operazione non era stata autorizzata ma decisa autonomamente da Eitan succeduto a Blumberg al Lekem, che Peres dichiarò di avere immediatamente sciolto. Il FBI spiccò un mandato contro Eitan e il suo team, tutti già rientrati a Israele (10), il Mossad restituì i documenti rubati da Pollard, che fu condannato all’ergastolo per la pressione della intelligence community perché il danno era molto superiore a quello rivelato in tribunale (11). Grazie alle pressioni della “Zionist lobby” fece solo trent’anni, e nel 2020 partì per Israele accolto come un eroe dal Premier Netanyahu. I rapporti Stati Uniti-Israele si normalizzarono rapidamente, c’era in ballo la vita di sette Statunitensi in mano a Hezbollah in Libano che si intrecciava con l’Irangate, e il Mossad era indispensabile. Inoltre, un report del National Intelligence Council aveva evidenziato la ripresa del programma nucleare di Teheran con «la produzione di materiale fissile che avrebbe potuto essere utilizzato in un’arma nucleare» (Kerr 2019), altra questione che rendeva determinante il Mossad. Neppure lo scoop del londinese Sunday Times del 1986 che per la prima volta aveva mostrato al grande pubblico le prove della capacità nucleare di Israele, fece cambiare il «confounding puzzle» e la «nuclear ambiguity» della Amministrazione statunitense. Mordechai Vanunu, un tecnico a Dimona dal 1977 al 1985, aveva consegnato al giornalista Peter Hounam foto, nomi e dati ultrasegreti sulla capacità nucleare di Israele. Il Mossad decise per una “extraordinary rendition”, non però in Gran Bretagna per non inimicarsi MI5 e MI6, ma in Italia, dove l’intelligence israeliana era di casa dai tempi di Alcide De Gasperi (12), in debito con Angleton per la rielezione a Presidente del Consiglio. Entrò in gioco un atout dello spionaggio classico, la “honey trap”: una attraente turista in visita a Londra (Cheryl Ben Tov alias Cindy) promise a Vanunu un romanico weekend a Roma, dove la coppia arrivò il 30 settembre. A Trastevere tre agenti della Unità Speciale Kidon, due uomini e una donna, Giora Tzahor alla testa dell’operazione, caricarono Vanunu su un furgone noleggiato dall’Ambasciata che si diresse a La Spezia. Imbarcato sul mercantile Noga che attraccò il 7 ottobre a Israele, Vanunu fu condannato a 18 anni. SISMI (Martini) e SISDE (Parisi) avevano avuto altro da fare, mentre il Sostituto Procuratore Sica, vicino ad Andreotti agli Esteri, archiviò il procedimento come “falso rapimento” Vanunu dimostrò il «lack of candor» occidentale nel controllo del nucleare israeliano, in particolare quello della «usual crew of British-American-Commonwealth» (Steinberg 1999). Destabilizzò il già complesso paradigma della sicurezza nella regione medio-orientale. Allargò l’odio arabo verso Israele e il suo “prosseneta”, gli Stati Uniti, incoraggiando Iran, India e Pakistan alla opzione nucleare, fatto che portò Tel Aviv a lanciare il primo di una serie di satelliti (Ofek), che le permetteva l’individuazione di obiettivi all’interno di un sistema radar proprio, annullando la subordinazione ai sistemi statunitensi. Fatto più importante, modificò il contesto strutturale militare nucleare israeliano, sviluppando bombe al neutrone a basso potenziale con fall-out minimo (micro-nukes), impiegabili anche sul teatro interno in cui fossero coinvolte truppe proprie (Hersh 1991), tecnologia fino a pochi anni fa solo in mano a Stati Uniti, Russia e forse Cina. La CIA sapeva di Dimona dall’aprile 1958, quando un aereo statunitense da ricognizione ad alta quota (U2) aveva fotografato i grandi scavi di fondazione. Esaminati dal Photographic Intelligence Center della CIA, la conclusione era stata che si trattava di un «probable nuclear-related site», confermato dalle Field Stations e dalle Ambasciate europee e Nord Africane. La CIA consegnò una bozza al Presidente Eisenhower nel dicembre 1960. Non ci furono reazioni, inusuale per un «consumer of intelligence» come Eisenhower: era a fine mandato e uno scontro diplomatico con Israele era politicamente impossibile, o considerò militarmente utile che Tel Aviv si dotasse di un potenziale nucleare? 

   Kennedy si insediò il 20 gennaio 1961, e il 31 ebbe sulla scrivania il primo report completo della CIA sul nucleare israeliano con una analisi del rischio che evidenziava (13). Fu l’unico Presidente nella storia statunitense a «conceptualize nuclear proliferation as a foreign policy problem» (Cohen 1998), opponendosi allo sviluppo nucleare di Tel Aviv, pronto a mettere in discussione le relazioni diplomatiche e politiche. Messa alle strette, Israele accettò le ispezioni imposte da Kennedy, a condizione di scegliere gli ispettori; inoltre non fu stilato un protocollo specifico. Le ultime furono a fine 1962, Kennedy morì assassinato l’anno dopo e Dimona «was largely removed from American-Israeli relations» (Cahill 2019), fatto che permise a Tel Aviv di accedere a fondi di centinaia e centinaia di miliardi di dollari grazie a una legge entrata in vigore il 6 settembre 2012 dal titolo orwelliano: Guidance on Release of information Relating to the Potential for an Israeli Nuclear Capability (WNP-136). Voluta dal Department of Energy e ancora parzialmente segretata, firmata in successione da Clinton-Bush Obama-Trump, la legge vieta a tutti i «government contractor or employee» di «publicly say or write» sull’arsenale nucleare di Israele «under penalty of losing their job», eludendo così gli emendamenti Symington & Glenn al US Arms Export Control Act voluti dopo il “NUMEC Affair”, che vietano espressamente assistenza economica e militare agli Stati che «imported or exported spent nuclear fuel reprocessing or uranium enrichment equipment, materials, or technology» al di fuori della International Atomic Energy Agency. Israele è la Nazione che ha ricevuto più fondi di qualsiasi altra nella storia statunitense, fondi di ambigua legalità in quanto, tra l’altro, è tra i “nonsignatories” del Nuclear Non-Proliferation Treaty. La bozza di una soluzione giuridica si delineò in una riunione al Pentagono del novembre 1968 con l’allora Ambasciatore Rabin, dove si discuteva di come risolvere il problema nucleare israeliano senza contraddire le “non-proliferation policies” statunitensi. Fu una frase di Rabin, «non si può considerare un'arma quello che non è stato testato come un'arma», a delineare il sintagma della diplomazia occidentale: la “nuclear ambiguity” codificata da Kissinger l’anno successivo nell’incontro Nixon-Golda Meir, che varrà anche per tutta la intelligence community. Unica condizione, il programma nucleare doveva rimanere una “perception”, riservato e invisibile, in quel «never confirm or deny» che non è solo il rifiuto di confermare il possesso di armi nucleari, ma è anche il rifiuto di negarlo. «L'inganno è uno stato d'animo ed è la mente dello Stato» diceva Angleton. Aveva ragione e il 7 ottobre 2023 lo ha dimostrato. 

NOTE: 

1 - Nel 1978 la CIA commissionò a un senior di lunga carriera nell’intelligence, Cleve Cram, una analisi complessiva sui vent’anni di Angleton a Capo del counterintelligence. Cram consegnò nel 1984 12 volumi, ancora segretati e sconosciuti a molti dei ricercatori che si sono posti il difficile problema storico di Angleton. Sarebbe interessante sapere se la ricerca di Cram tocca anche il periodo italiano di Angleton a Capo dello OSS Counterintelligence X-2, quando tra i suoi informatori di riferimento spiccava un futuro Papa: Giovanni Battista Montini. 

2- Transparency Plan, CIA-authored, che mette i documenti nel limbo della “presumption of disclosure”. «To maintain its credibility with Israel and its policy of hostility to Iran» Biden fu costretto ad approvarlo nel giugno 2023 (Morley 2023). 

3 - "de jure” il 31 gennaio 1949. 

4 - All’Institute for Nuclear Studies della University of Chicago, uno studente studiò sotto Enrico Fermi (Cohen 1998). 

5 - Parte dell’accordo del 3 ottobre 1957, ordinati alla Dassault nel 1959 in risposta alla fornitura di MiG-21 alla Siria e all’Egitto. 

6 - Fondatore della Investors Overseas Services (IOS), una rete di vendita di mutual funds fallita nel 1973, il cui ramo italiano fu la Fideuram. Il Governo fu «costretto ad intervenire per salvare dal disastro migliaia di risparmiatori italiani. L'IMI […] ha dovuto versare miliardi del denaro pubblico per togliere all’IOS di Ginevra la partecipazione di maggioranza alla Fideuram». Atti Parlamentari, VI Legislatura, Seduta 18 dicembre 1974. 

7 - Moscow's Secret Weapon: Ariel Sharon and the Israeli Mafia, IER, 1° marzo 1986; Israel: The Promised Land of Organized Crime?, Cunningham [Ambasciatore statunitense a Israele] to State Department, cablo, 16 maggio 2009. 

8 - Atti Parlamentari, VII Legislatura, Seduta 1° luglio 1977. 

9 - Hermoni, Station Chief di LEKEM all’Ambasciata israeliana di Washington; Biegun, Capo del Dipartimento Tecnico dello Shin Bet; Bendor e Eitan, l’ideatore del Plumbat Affair, allora rispettivamente Capo e Vice Capo di una Unità di collegamento Shin Bet-Mossad-Aman per le covert operations. 

10 - Il Federal Grand Jury non ne chiese l’estradizione perché lo Extradition Treaty del 2005 non prevedeva i casi di spionaggio. 

11 - The Jonathan Jay Pollard Espionage Case: A Damage Assessment, Foreign Denial and Deception Analysis Committee, CIA, 30 ottobre 1987. 

12 - Il “gentlemen agreement”, evidentemente ancora in atto visti gli avvenimenti del lago Maggiore del maggio 2023, nacque in un incontro voluto da Angleton tra De Gasperi (1948) e Ada Sereni, la prima responsabile in Italia del neonato Shin Bet. 

13 - Implications of the Acquisition by Israel of a Nuclear Weapons Capability, SNIE 100-8-60, CIA Report, 28 gennaio 1961

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