La rivincita degli anti-nucleari
A chi ha seguito, in questi anni, il dibatto sull’energia, fa una certa impressione leggere - ancora di più su un giornale francese - “L’ENEL prende la rivincita sui suoi concorrenti nucleari…” . L’articolo, pubblicato su Le Monde del 7 dicembre scorso, prosegue dicendo che l’azienda elettrica italiana, che ha anticipato tempestivamente la sua transizione energetica, è diventata una “super major nelle energie rinnovabili”.
Francesco Starace, AD di ENEL, a fine novembre ha, infatti, annunciato un piano decennale di investimenti di ben 160 miliardi di euro (40 dei quali nei prossimi tre anni) in parchi eolici e solari, reti elettriche digitali, stazioni di ricarica per veicoli elettrici e risparmi energetici, in Europa, negli Stati Uniti e in America Latina. Dal 2014 il valore in Borsa dell’Enel è raddoppiato, arrivando a 84 miliardi: la più grande capitalizzazione della Borsa di Milano. Si prevede che le nuove politiche climatiche e i piani di stimolo di Next Generation EU avranno ulteriori ricadute positive per le imprese come l’ENEL, impegnate nello sviluppo delle rinnovabili.
La rivincita citata da Le Monde si riferisce in particolare all’EDF, la società francese più importante in Europa nella gestione di centrali nucleari, diventata ormai “un peso“ per il sistema elettrico francese: fortemente indebitata, impegnata, con aiuti pubblici, nella ristrutturazione di 56 reattori nucleari e con poche risorse disponibili perinvestimenti nelle rinnovabili. In questa rivincita non sarebbe ora di riconoscere anche il ruolo avuto dagli ambientalisti antinucleari?
Sarebbe bene riparlarne e, avendo avuto in quei referendum una qualche responsabilità, penso di dover sollecitare, in prima persona, questa riflessione. Sulla Gazzetta Ufficiale (n.7 del 11.2.1987), dove è pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti del referendum antinucleare, si legge: “In data 8 maggio 1986 Ronchi Edoardo ed altri …” presentavano alla Cancelleria della Corte di Cassazione i tre quesiti referendari.
Ero il primo firmatario perché avevo curato la scelta e la stesura dei tre quesiti per interrompere la costruzione di centrali nucleari in Italia e la collaborazione nella costruzione di centrali nucleari all’estero, dopo l’incidente catastrofico del 1986 alla centrale nucleare di Chernobyl. Feci anche parte (insieme a Mauro Paissan, Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Emilio Vesce e altri) del Comitato promotore di questi referendum antinucleari, vinti con ampio margine, al punto che anche il successivo tentativo di rilancio, nel 2011, fu battuto con un altro referendum da un’opposizione popolare ormai radicata.
Ricordo gli attacchi che subimmo, facilmente rintracciabili sulla stampa di quel periodo: noi ambientalisti antinucleari fummo, non di rado, trattati come oscurantisti che si opponevano al progresso, che, proponendo un futuro basato sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili, sicure e pulite, avremmo condannato il Paese al fallimento economico e alla mancanza di energia perché le rinnovabili sarebbero state sempre molto costose e in grado di coprire solo pochi punti percentuali del fabbisogno.
È ora di seppellire pubblicamente simili valutazioni. Non pretendo che tutti i filonucleari cambino idea, ma che almeno ammettano che le loro previsioni sono risultate, per la gran parte, sbagliate. Senza l’iniziativa degli ambientalisti antinucleari i referendum non ci sarebbero stati e oggi in Italia, anziché un’impresa leader internazionale nel settore dell’energia elettrica, avremmo centrali nucleari: “un peso” indebitato e privo di futuro. Una lezione importante anche oggi. Per decidere del nostro futuro sarebbe bene avvalersi di capacità critiche, di visioni di ampio respiro non legate solo al breve termine e non definite con il metro di interessi consolidati.
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